Moon

Prossimo alla conclusione del suo contratto triennale come sovrintendente agli estrattori automatici sulla luna, Sam Bell che ha rarissimi contatti video in differita con moglie e figlia, rimaste sulla terra, sta aspettando la missione per il cambio turno. a tenergli compagnia c’è Gerty, intelligenza artificiale che gestisce in autonomia tutto il funzionamento della base.

Sam soffre ultimamente di allucinazioni e di fortissimi mal di testa e succede così che in una semplice operazione di routine commette un errore e rimane ferito dentro al veicolo estrattore fuori dalla base. si risveglierà nell’infermeria con i ricordi confusi e ascolterà una strana conversazione …

Girato con un budget irrisorio di circa 5 milioni di dollari, è il primo lungometraggio di Duncan Jones, figlio di Dawid Bowie. in una cornice scenografica spettacolare e una fotografia dai colori acidi, si dipana la storia di Sam Bell, (a cui da volto e corpo il bravissimo Sam Rockwell) l’unico uomo su una base lunare totalmente gestita dal computer di bordo, Gerty. Un’intelligenza artificiale che ha anche il compito di fargli compagnia e coadiuvarlo nei lavori di estrazione. un uomo e una macchina.

Sebbene lo spunto sia tradizionale, quello di Moon è un omaggio veramente ben riuscito alla fantascienza classica di genere. Per i cinefili le citazioni e i rimandi sono tantissimi, quasi servano a comporre un quiz del tipo: riconosci cosa? riconosci in quale film?

Gli interni della stazione spaziale sono disegnati con linee eleganti e asettiche che ricordano 2001: odissea nello spazio, ma anche le inquadrature ci riportano verso Stanley Kubrick: Sam che corre, la poltrona spesso in primo piano, la musica classica onnipresente.

Il personaggio interpretato da Sam Rockwell, ricorda nelle sue sfaccettature tanto lo psicologo Chris Kelvin del film Solaris (Andrej Tarkovskij, 1972), che il comandante David Bowman di 2001: Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968). l’intelligenza artificiale Gerty è direttamente collegata, nella nostra memoria collettiva, al supercomputer Hal 9000, ma anche a Mother, il computer di bordo dell’astronave nostromo del film Alien (Ridley Scott, 1979).

Tra un rimando e un altro, il film con il suo andamento lento diventa ipnotico e il tutto acquista valore grazie alla regia di Duncan Jones che nel suo gusto per gli spazi silenti e desolati dell’universo, ne fa una piccola perla.

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